1 Abituati come siamo a uno sguardo a distanza con la realtà, tendiamo a non accorgerci di essere osservatori coinvolti e parte di quel che osserviamo. Perseveriamo in un approccio lineare, quando sarebbe necessario e disponibile un’epistemologia della complessità, per riconoscere la circolarità di noi col sistema vivente e con le forme organizzate della nostra vita. Non poche conseguenze molto concrete derivano dal modo di rappresentarsi i fenomeni del mondo: in base a quelle rappresentazioni noi costruiamo le nostre scelte e i piani e le strutture dei nostri comportamenti. Se, ad esempio, ci sentiamo come specie sopra le parti sul pianeta che ci ospita, ci sentiremo autorizzati a perseverare in comportamenti estrattivi e distruttivi delle risorse, fino a non accorgerci di segare lo stesso ramo sul quale siamo seduti. Comportamenti più appropriati possono nascere da uno sguardo non riduzionista e autoreferenziale della complessità delle relazioni che regolano e sostengono le interdipendenze delle nostre forme di vita, non solo tra noi umani, ma anche con il sistema vivente di cui siamo parte.
Rivedere il paradigma meccanicistico che ancora tendiamo ad adottare, per assumerne uno biologico evolutivo in grado di evidenziare la complessità del vivente e della nostra presenza nei mondi della nostra vita, vuol dire rendersi conto che per i problemi complessi che dobbiamo affrontare sembrano esistere soluzioni lineari e semplici, ma sono sbagliate. I sistemi viventi sono complessi, sono costituiti non solo da enti ma da relazioni più e più volte interconnesse tra gli enti, e richiedono un paradigma della complessità per cercare di comprenderne natura ed evoluzione.
Se si cerca una distinzione tra vita e non vita, si può riconoscere, tra l’altro, la complessità come una proprietà distintiva dei sistemi viventi le cui manifestazioni emergenti non risultano completamente riducibili alle proprietà costitutive. La comprensione dei sistemi viventi esige, quindi, che si considerino le relazioni più e più volte intrecciate tra enti, e non solo gli enti come unità di analisi. Non c’è parte di mondo, qualunque sia la prospettiva che s’incarica di studiarlo, che non si dia come interazione tra entità che cercano equilibri e al contempo sono sempre pronte a disfarli. E questo vale in primo luogo come indicazione a non cercare l’ordine a tutti i costi, a seguire piuttosto le tracce di quella congerie indisciplinata di elementi la cui condotta non si adatta alle previsioni più facili. La complessità è in primo luogo un orientamento epistemologico e conoscitivo. Perché la proprietà più intrigante dei fenomeni fisici, biologici e sociali è quella di procurarsi gradi di complessità, vale a dire, mettersi nella condizione di poter passare velocemente da uno stato all’altro.
La realtà rimane inosservabile dall’esterno, si lascia attraversare per sentieri che s’interrompono di continuo e si manifesta sotto forme la cui descrizione richiede linguaggi diversi, spesso inconciliabili. Conoscere vuol dire cercare una molteplicità di ingressi alle stesse dinamiche per indurle a manifestarsi e a evidenziare il prossimo stato in cui intendono presentarsi. In base a questa concezione della conoscenza si comprende anche qualche aspetto della sua evoluzione: non si tratta di un progresso, men che meno lineare, ma di un allargamento dello “sguardo” per cercare di riuscire a comprendere quanti più nodi possibili negli intrecci che compongono il reale.
La conoscenza non è puro rispecchiamento del mondo, bensì una forma in potenza, là dove capire ciò che ci sta attorno significa anche non subirlo passivamente.
L’educazione, ad esempio, ha un ruolo di particolare importanza nel favorire l’impostazione epistemologica e conoscitiva riguardante i modi di presentare, osservare e analizzare i fenomeni. Oltre alla presentazione degli enti e delle loro caratteristiche, in ogni campo del sapere, le relazioni educative hanno la responsabilità di impegnarsi a favorire l’analisi delle relazioni tra gli enti, della loro complessità e della loro articolazione, proponendo contemporaneamente il riduzionismo metodologico come strategia del sapere e della ricerca, e l’irriducibilità della complessità dei fenomeni.
2 Alla ricerca di alcuni capisaldi o periscopi per comprendere la complessità nella quale siamo immersi e di cui siamo parte, con le relative difficoltà di non vedere di non vedere, se ne possono individuare almeno quattro, che risultano altrettanti sguardi o finestre di comprensibilità.
L’incertezza, come proprietà costitutiva dei sistemi viventi, cioè non considerata solo come imprevisto o eccezione, bensì come condizione stessa dell’organizzazione del vivente, è un antecedente evolutivo delle forme di vita, dalle più semplici alle più complesse. Pare, infatti, che l’incertezza, oltre a essere una delle fonti principali dell’evoluzione mediante le discontinuità che stanno alla base della filogenesi, sia la ragione costitutiva della comunicazione e dell’organizzazione. Le relazioni, la comunicazione e l’organizzazione delle forme di vita, soprattutto quelle umane basate sul comportamento simbolico, sono di fatto processi emergenti dall’elaborazione dell’incertezza. Le forme di vita organizzativa, in particolare, emergono come esiti della complessità delle relazioni e le creiamo e ricreiamo per elaborare e cercare di contenere l’incertezza. Si tratta, in fondo, di processi di approssimazione, cioè di avvicinamento e riduzione delle differenze, con elevati livelli di indecidibilità e imprevedibilità. I sistemi viventi sono, infatti, per loro stessa natura incompleti e l’incertezza e la vulnerabilità che li caratterizzano sono fattori distintivi della loro complessità.
La relazione, in quanto processo intersoggettivo in cui si genera l’individuazione e la soggettività, è luogo di tutte le possibilità e di tutti i problemi con l’altro, quando io e altro cercano di fare qualcosa insieme, come accade in ogni relazione cooperativa, educativa, di cura o di governo. Dalla relazione emerge la via per favorire l’efficacia o generare la difficoltà della connessione al compito di crescita e all’apprendimento. La relazione è per sua natura asimmetrica e implica l’esercizio della responsabilità di contenimento e di uso del potere come servizio verso l’altro. La comunicazione e il riconoscimento nelle relazioni interpersonali emergono e dipendono dalla combinazione, dal dialogo e dal conflitto delle differenze individuali, che sono costitutive di ogni processo di individuazione. La relazione è incarnata in quanto sostenuta dall’approssimazione tra corpi in movimento. Gli esseri umani sono individui di una specie che è naturalmente relazionale, e la relazione è costitutiva dell’individuazione personale. La relazione è reciproca in quanto basata sulla modulazione intenzionale e sulla circolarità. La natura e la qualità della relazione dipendono dal livello di reciprocità e dall’influenza, che emergono e si affermano nella contingenza di una data situazione.
L’ordine, costituisce la cornice, il contenitore delle forme di vita che gli esseri umani istituiscono. Si caratterizza come la contingenza che a un momento dato contiene, appunto, le differenze che compongono la complessità di una forma di vita. La razionalità limitata e l’elaborazione dei costi relazionali e informativi che essa comporta, rendono necessaria la generazione di forme di vita capaci di coordinare e finalizzare la complessità. Quelle forme di vita sono dinamiche, incerte e in costante evoluzione ed emergono dalle relazioni interpersonali e dai contratti psicologici e formali tra persone che cercano di fare qualcosa insieme e di cooperare. Le asimmetrie informative e i limiti della razionalità danno vita, spesso, a comportamenti non del tutto corrispondenti alle regole stabilite e alle aspettative reciproche, che assumono i caratteri delle resistenze, delle difese, dell’opportunismo. L’ordine di un sistema emerge attraverso processi che rispondono a ordine da ordine, ordine da rumore, ordine da complessità. Gli ordini sono gli equilibri provvisori che un sistema può assumere nella sua evoluzione ed emergono dalle relazioni con implicazioni cognitive ed affettive, tra vincoli e possibilità mediante apprendimento e azione.
L’autopoiesi, ovvero la capacità generativa di creare se stessi, di autoregolarsi e autoorganizzarsi di ogni sistema vivente. I sistemi viventi sono caratterizzati da una condizione di autonomia e socchiusura nei confronti dell’ambiente, e mostrano capacità di autoregolazione e autoorganizzazione mediante le quali generano in continuazione sé stessi. Noi esseri umani siamo una specie simbolica. Ciò comporta che la nostra capacità di autoregolazione autoorganizzazione sia costantemente basata su un processo di attribuzione di senso e significato a quel che ci accade nelle relazioni con gli altri e con il mondo. Sappiamo e sappiamo di sapere, conosciamo e sappiamo riflettere sulla conoscenza. La socchiusura istituisce una relazione con il mondo mediata costantemente dall’apprendimento. Nel processo di socchiusura, in cui cioè siamo costantemente alle prese con la tutela e la difesa della nostra autonomia, ma allo stesso tempo aperti relativamente alle relazioni con gli altri e con il mondo, emerge quel processo di auto-creazione di noi stessi che definiamo autopoiesi. La complessità tende a situarsi e ad emergere al punto d’incontro relazionale tra noi e gli altri, e il mondo, con proprietà emergenti che ne caratterizzano la generatività costitutiva.
Per approfondire
Psicologo e studioso di scienze cognitive . Insegna Scienze Cognitive Applicate all'Università Federico II di Napoli. Il suo prossimo libro con Vittorio Gallese è "Cosa significa essere umani", Raffaello Cortina Editore, Milano 2024.
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