COSTITUZIONE

Costituzionalismo «Italian style»
Costituzionalismo «Italian style»

La Costituzione italiana del 1948 appartiene alla famiglia del costituzionalismo contemporaneo, diffusosi a partire dalla fine della seconda guerra mondiale su tutto il continente europeo (e oltre). In essa si ritrovano tutti i tratti caratteristici che accomunano le costituzioni del secondo dopoguerra. Eppure quella italiana non manca di una sua inconfondibile originalità. Costituzionalismo Italian Style, avrebbe scritto John Henry Merryman (su alcuni articoli pubblicati nella Stanford Law Review tra il 1965 e il 1966 e poi ripresi nell’opera seminale The Italian Legal System a cura di Mauro Cappelletti, John Henry Merryman e Joseph M. Perillo, nel 1967).

Al pari di altre Costituzioni coeve, anche quella italiana è una rigida, perché ha inteso porre le sue strutture portanti al riparo dagli interventi delle maggioranze politiche contingenti: per modificarla occorre una speciale procedura di revisione costituzionale che richiede il sostegno di maggioranze qualificate in Parlamento e una eventuale pronuncia popolare tramite referendum (art. 138 Cost.). 

Costituzione della Repubblica Italiana - Quirinale.it

Inoltre, anche quella italiana è una Costituzione lunga, perché enuncia un ampio spettro di diritti fondamentali, che comprende i tradizionali diritti di libertà civile e politica, ma include anche i diritti economici e sociali (artt. 13- 54). Ancora, è una Costituzione garantita da un organo di nuova istituzione, la Corte costituzionale (artt. 134 ss.) e nella parte dedicata alle istituzioni politiche istituisce una forma di governo parlamentare, la quale esige che il governo, per operare appieno, deve sempre godere della fiducia delle Camere (art. 94 Cost.).

Per questi profili, la Costituzione italiana condivide alcuni tratti salienti con molte Costituzioni contemporanee (B. Ackerman, Revolutionary Constitutions, Cambridge Massacchussetts 2019, p. 131 ss.). Ciò nonostante, si distingue da altre esperienze nel panorama comparato e ciò dipende in larga misura dal contesto storico in cui fu elaborata

Nata per unire

Il primo obiettivo dei Costituenti era ricostruire lo Stato dopo la catastrofe delle due guerre mondiali e del ventennio fascista. Alla base della neonata Repubblica italiana venivano perciò posti alcuni principi fondamentali ispirati a una visione opposta a quella del regime precedente, senza peraltro limitarsi a ripristinare le strutture e i principi del costituzionalismo liberale, sperimentato in Italia con lo Statuto Albertino, che all’epoca aveva rivelato tutte le sue debolezze e i suoi limiti. La fase Costituente fu dunque una fase di grande creatività, alimentata, da un lato, dalla necessità di superare un passato rovinoso e, dall’altro, dalla necessità di trovare soluzioni – tratte anche da altri modelli costituzionali sperimentati fuori d’Italia – che potessero essere condivise dai principali partiti politici rappresentati in Assemblea Costituente. Non bisogna dimenticare che nessuno dei principali partiti controllava numericamente l’Assemblea: i democristiani contavano 207 deputati su 556; il blocco dei socialisti e comunisti li superava numericamente, con 115 e 104 deputati rispettivamente, e tutti dovevano fare i conti con il grande peso e la grande esperienza politica di alcune forti personalità dei partiti laici dell’epoca liberale, per quanto quantitativamente minoritari.

In Assemblea Costituente nessun partito poteva cedere a una tentazione egemonica, perché – prima e al di là di ogni altra considerazione – nessuno aveva i numeri per farlo e ciascuno doveva fare i conti con l’«altro», con le sue convinzioni e con i suoi sostenitori. Eppure la votazione finale registrò un ampio consenso: i voti favorevoli furono 453 e i contrari solo 62.

Ben si può dire che la Costituzione italiana è una costituzione di tutti, voluta e supportata da una amplissima maggioranza e in cui tutti si possono riconoscere. 

Nata per unire, come ha scritto Enzo Cheli qualche anno fa.

E questo fu ed è il suo punto di forza.

Divisi sulla visione, anche di fondo, della futura Repubblica; posizionati su orizzonti diversi in ambito geopolitico; rivali nella conquista delle future maggioranze di governo, come si sarebbe visto nelle elezioni politiche del 1948; messi alla prova da una grave crisi di governo nel maggio del 1947, nel pieno dei lavori costituenti; in breve: lacerati da mille ragioni di contrapposizione, eppure i partiti presenti in Assemblea costituente seppero portare a termine l’arduo compito di ridisegnare le istituzioni e i principi della nuova Repubblica italiana, lasciando prevalere ciò che li univa su ciò che li divideva. Troppo impellenti erano le urgenze del momento storico, troppo gravi sarebbero state le responsabilità di chi avesse arenato il disegno di ricostruzione istituzionale e sociale per arroccarsi sulle proprie convinzioni a scapito della rinascita paese.

Una armonia in contrappunto

Il primo fattore che favorì lo sviluppo di una sinergia in Assemblea costituente fu l’esigenza di lasciarsi alle spalle le pagine peggiori della nostra storia. Bisognava evitare il ripetersi degli errori del passato, e su questo non era difficile trovare un accordo. Come molte costituzioni scritte in una fase di cambio di regime, la Costituzione italiana nasce all’insegna di un «mai più». Vuole dotare il sistema politico di tutti gli anticorpi necessari al ripetersi di una fase ingloriosa della storia passata. Alcuni capisaldi del nuovo sistema costituzionale confermano questa preoccupazione dominante, condivisa da tutte le forze politiche in Assemblea

Prima seduta dell'Assemblea Costituente

Spicca anzitutto la centralità della persona e dei suoi diritti e la sua precedenza rispetto allo Stato e agli altri poteri pubblici (art. 2 Cost.), che vengono affermate insieme al divieto di ogni forma di discriminazione (art. 3 Cost.) sin dall’apertura della Carta costituzionale: si tratta di principi che si contrappongono frontalmente al sistematico annientamento delle libertà individuali e sociali, oltre che della stessa dignità umana, che era stato perpetrato nell’epoca precedente.

Il pluralismo sociale e politico di cui è intrisa la prima parte della Costituzione (artt. 2, 8, 18, 39, 48, e altri) disarticola la monolitica visione della società ereditata dallo Stato liberale – che come diceva Massimo Severo Giannini era una società monoclasse era lo Stato della borghesia –  ed era poi stata esasperata dalla gabbia dello stato corporativo e dall’imporsi di un partito unico durante il periodo fascista.

La centralità del Parlamento nell’ambito del circuito democratico – disegnato nella Costituzione, benché poi almeno in parte disatteso dalla prassi più vicina a noi –intendeva arginare la tendenza alla concentrazione del potere politico in capo al governo e in particolare al “capo del governo”, verificatosi dei decenni precedenti.

Nello stesso spirito, attento alla distribuzione del potere e alla istituzione di checks and balances, la Costituzione disegna uno stato delle autonomie (art. 5 Cost.), valorizzando gli enti locali e dotando le regioni persino di un potere legislativo, in replica al centralismo statale e al controllo del territorio effettuato dal governo centrale attraverso i podestà e i prefetti.

La previsione di solide istituzioni di garanzia, e in particolare il Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale, denotano che la preoccupazione dominante all’epoca era quella di prevenire e arginare le concentrazioni del potere politico, istituendo adeguati argini alle possibili derive accentratrici.

Il ripudio della guerra (art. 11 Cost.) come metodo di aggressione agli altri popoli e l’apertura alla partecipazione al processo di integrazione europea e alle altre organizzazioni sovranazionali e internazionali, sono una risposta alle fallimentari politiche autarchiche, coloniali e belligeranti.

Si potrebbe a lungo continuare, ma gli esempi che precedono sono tra i più significativi al fine di mostrare come la Costituzione repubblicana sia stata intesa come “uno spartito” volto a intonare un controcanto rispetto alla forma di stato che si era consolidata durante il periodo fascista.

In relazione

C’è un tratto unico e originale che, a mia conoscenza, contraddistingue la forte personalità del costituzionalismo italiano nella comune famiglia del costituzionalismo europeo e internazionale contemporaneo ed è quello del valore dei rapporti. 

Questo valore è particolarmente evidente nella parte prima della Costituzione, quella dedicata ai diritti fondamentali della persona. Questi ultimi non sono semplicemente elencati in ordine sparso nella Carta costituzionale, ma sono raggruppati intorno a quattro titoli, ciascuno dei quali è dedicato a un gruppo di “rapporti”: Rapporti civili, Rapporti etico-sociali, Rapporti economici, Rapporti politici. 

L’individuo solitario, astratto e avulso dal suo contesto, svincolato da ogni legame – «the unencumbered self» (direbbe Michael Sandel, Liberalism and the Limits of Justice, Cambridge 1982) – che costituisce il protagonista assoluto della vita sociale nella visione liberale tradizionale, si trasforma nella Costituzione italiana in una persona ritratta in tutte le sue situazioni di vita e in tutti i suoi rapporti di vita. C’è l’uomo e c’è la donna, c’è il singolo e ci sono le formazioni sociali dove si svolge la sua personalità (art. 2 Cost.), c’è il lavoratore e la lavoratrice (art. 35 ss.), c’è lo studente (art. 33 ss. Cost.), c’è il figlio e ci sono i genitori (art. 29 ss.), c’è il credente e il non credente (art.7, 8, 19 Cost.), c’è il malato (art. 32 Cost.), l’anziano e la persona con disabilità (art. 38 Cost.). E si potrebbe continuare a lungo.

Non è chi non veda in questo tratto del costituzionalismo italiano un’eco nitida del personalismo cattolico di Jacques Maritain e di Emmanuel Mounier, incentrato proprio sulla relazionalità della singola persona.

Ma vi è anche traccia di un grande senso di realismo e di concretezza. Quello stesso senso di realismo e di concretezza che portò due protagonisti della fase costituente (Lelio Basso, socialista e Aldo Moro, democristiano) a concordare sulla necessità di corredare la proclamazione dei grandi principi di libertà ed eguaglianza con l’impegno a promuoverli in concreto, nelle pieghe della storia e della vita quotidiana della gente: di qui l’impegno «della Repubblica a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana» (art. 3, secondo comma, Cost.). Si tratta di una previsione davvero inedita nel costituzionalismo dell’epoca, capace di anticipare sviluppi futuri e di offrire una solida base costituzionale a tutte le misure “positive” che l’ordinamento predispone a favore di categorie svantaggiate e storicamente marginalizzate, che in altri sistemi generano tanto dibattito e tanta contrapposizione. È un compito affidato alla Repubblica: dove il termine Repubblica allude a un soggetto complesso e plurale, comprensivo delle istituzioni centrali e di quelle locali, nonché della società civile, individualmente considerate, ma soprattutto in sinergia fra loro.

Infatti, la “relazionalità” – che abbiamo visto connotare la parte dedicata ai diritti e doveri fondamentali – è anche il tratto che contraddistingue la struttura istituzionale disegnata dalla carta costituzionale: la forma di governo prescelta presuppone un rapporto di fiducia tra Parlamento e Governo, oltre che con il Capo dello Stato; l’articolazione regionale e locale richiede una cooperazione tra poteri di diversi livelli e ambiti; la sussidiarietà, che connota i rapporti tra i diversi livelli di governo e tra istituzioni pubbliche, soggetti privati e terzo settore, non può essere intesa come una mera delega di funzioni verso l’alto o verso il basso, ma esige una condivisione di compiti in vista di obiettivi comuni. 

Questo aspetto relazionale che permea tutto il tessuto costituzionale costituisce forse l’eredità più preziosa, non solo da preservare, ma da comprendere a fondo, anche nelle sue implicazioni pratiche e anzi da valorizzare in ogni ambito. La dimensione relazionale della Costituzione italiana ha un potenziale enorme, in gran parte ancora da scoprire, esplorare e sperimentare nelle sue capacità rigenerative. È un tratto peculiare, che viene dalla nostra storia e potrebbe contrassegnare, anche nel panorama internazionale, una risorsa per tutti.

Prima la cultura

Una Costituzione dalla personalità forte, dunque, è quella italiana. Espressione delle conquiste di una intera epoca, ma non priva di una sua spiccata originalità.

Un tale risultato non è frutto dell’improvvisazione. La fase costituente si è nutrita anche di un lungo e silente lavoro di preparazione culturale che fu svolto negli anni precedenti. Può valer la pena ricordare, a titolo di esempio, che quest’anno ricorre l’80esimo anniversario del Codice di Camaldoli, scritto alla vigilia della caduta del fascismo, nel luglio del 1943 e oggetto di un ampio lavoro di riflessione culturale e di scambi fra giuristi, economisti, ma anche teologi e uomini di chiesa. Quel testo è in qualche modo il manifesto dei cattolici e dell’apporto che essi seppero recare in Assemblea costituente. In effetti, alcuni dei protagonisti di Camaldoli furono anche eletti alla Costituente e tramite loro alcune delle idee elaborate in quella occasione hanno lasciato nel testo una traccia significativa, se non decisiva, soprattutto per quanto riguarda i rapporti tra persona, società e Stato e per le questioni economiche e sociali.

 Camaldoli è una testimonianza, tra le molte, di un fermento culturale che ha contrassegnato una intera epoca. Un fermento che animava ciascun gruppo politico e culturale separatamente, ma che si esprimeva anche in incontri continui e trasversali tra persone appartenenti ad aree politiche diverse. Quel pluralismo sociale e politico, che contraddistingue la Costituzione italiana, quel valore delle relazioni umane, non solo tra i propri simili, ma anche con gli avversari politici, erano una realtà sociale vissuta, prima di essere proclamata nel testo costituzionale.

È in questa coincidenza tra l’enunciato e il vissuto la sorgente dell’autorevolezza della nostra Costituzione e il segreto della sua longevità.

A 75 anni dalla sua entrata in vigore, la Costituzione regge l’urto del tempo ed è capace di essere una guida anche per il futuro, specie nelle sue parti che furono maggiormente condivise, che peraltro sono quelle fondative della casa comune, secondo la nota, ma intramontabile definizione che Giorgio La Pira ha dato della carta costituzionale. 

Per approfondire:

Marta Cartabia

Marta Cartabia

Ordinaria di Diritto Costituzionale, già giudice della Corte costituzionale, della quale dall’11 dicembre 2019 e presidente della Corte, è stata ministro della giustizia nel governo Draghi (2021-2022).

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