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L’investimento è la categoria forse più importante dell’agire economico nell’attuale paradigma e non solo. Per definizione investire vuol dire realizzare oggi un’azione che comporta costi monetari e di tempo ed utilizzo di risorse materiali ed immateriali al fine di ottenere domani un risultato superiore a quanto impiegato, dove il risultato è inteso generalmente in termini di beneficio economico come differenza tra ricavi e costi (profitto). Senza investimento (soprattutto quello in ricerca e sviluppo) non è possibile innovazione e progresso scientifico e dunque dobbiamo essere grati alle decisioni d’investimento delle generazioni passate noi contemporanei che viviamo oggi sulle “spalle dei giganti”, ovvero che beneficiamo di tutte le conquiste che con sudore e rischio sono state realizzate da chi ci ha preceduto. La decisione e la propensione ad investire ha alcune implicazioni profonde: la prima è la disponibilità a rischiare per ottenere risultati migliorativi, la seconda è la fiducia nel futuro. Visto il gap temporale tra il momento dello sforzo e quello differito del tempo del risultato solo chi ha fiducia nel futuro investe (o comunque chi investe si preoccupa necessariamente del fatto che esista un futuro nel quale poter realizzare i risultati attesi).
L’odierno paradigma economico incorpora una concezione minimalista e riduzionista dell’idea di investimento che è purtroppo alla radice di molti dei mali che oggi cerchiamo di combattere. Uno dei limiti chiave è quello della visione riduzionista del rendimento dell’investimento. Un secondo è il desiderio di benefici economici di breve termine che può consumare le risorse destinate agli investimenti. Sul primo punto si apre la questione di cosa sia il profitto e l’obiettivo desiderato con l’investimento. Nella visione tradizionale e riduzionista del paradigma economico dove l’impresa è modellata come un’organizzazione che ha l’obiettivo del massimo profitto possibile ottenuto “non importa come”, il traguardo dell’investimento consiste nella massima differenza tra ricavi e costi senza preoccuparsi delle ricadute (esternalità) negative possibili che l’attività d’investimento può avere sulla società e sull’ecosistema (ovvero del problema della sostenibilità sociale ed ambientale di investimenti, profitti ed attività economica). Nell’interpretazione più benevola possibile questa visione rende coerente l’obiettivo privato con quello del bene comune ipotizzando la presenza di istituzioni perfettamente informate, in grado di imporre le proprie regole e benevolenti (ovvero aventi l’obiettivo del bene comune).
Tali istituzioni sono sempre in grado di fissare leggi, regolamenti o incentivi fiscali tali da imbrigliare le energie degli animal spirits degli investitori, ovvero di allineare l’obiettivo del profitto individuale con quello del bene comune eliminando il problema delle esternalità negative. La realtà del mondo in cui viviamo è purtroppo profondamente differente, come dimostrato da tantissimi studi empirici e letteratura. Le istituzioni non hanno spesso tutte le informazioni necessarie, hanno limiti nella capacità di imporre le proprie regole alle imprese soprattutto in un’economia globalizzata dove agiscono in un contesto nazionale e devono regolare soggetti che si muovono invece in uno scenario globale e possono sfuggire alle maglie della regolamentazione delocalizzando le proprie attività o fissando la sede fiscale in paesi dove regole ed asticelle sono più basse. Infine le istituzioni non sono molto spesso “benevolenti” perché gli interessi dei regolatori possono facilmente essere disallineati da quelli del bene comune. Per questo motivo la “cattura dei regolatori” da parte dei regolati è purtroppo una situazione comune e ampiamente studiata dagli esperti di settore.
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Sono questi i limiti dell’attuale visione riduzionista del paradigma economico e dell’investimento che hanno portato ad una rivoluzione ed un cambiamento tuttora in corso che insiste sull’importanza della responsabilità sociale ed ambientale d’impresa. Secondo questa nuova prospettiva che riconosce i limiti e le debolezze dell’azione pubblica e dei regolatori, le imprese sono sempre più sollecitate e chiamate dai cittadini ad essere socialmente ed ambientalmente responsabili, ovvero a trasformare il fine dei loro investimenti da un profitto realizzato “non importa come”, che può generare esternalità negative sociali ed ambientali, ad un utile che crea valore economico socialmente ed ambientalmente sostenibile. Per questo motivo all’indicatore tradizionale di rendimento degli investimenti (ROI) si affiancano misure come quelle dello SROI (rendimento sociale degli investimenti) o comunque misure dell’impatto sociale ed ambientale degli investimenti realizzati.
Grazie a queste trasformazioni siamo oggi di fronte ad un salto decisivo che propone una visione d’investimento molto più larga e capace di fondare soddisfazione e ricchezza di senso del vivere rispetto a quella riduzionista descritta in principio.
La frontiera degli studi nelle scienze sociali identifica la caratteristica fondamentale dell’essere umano nella sua ricerca di significato del proprio vivere. I lavori in materia di determinanti della soddisfazione di vita (dimensione cognitiva della felicità) e della ricchezza di senso di vita (dimensione eudaimonica della felicità) identificano nella generatività la variabile chiave del benessere soggettivo. Per generatività intendiamo in questo specifico caso la capacità di una nostra scelta/azione di produrre un impatto sociale ed ambientale positivo. Una delle caratteristiche paradossali della generatività è che la sua traiettoria non è mai chiusa eppure, nonostante non siamo capaci di cogliere con esattezza e completezza le conseguenze future delle nostre azioni, siamo gratificati nel presente mentre compiamo un’azione generativa intuendo quelle che potranno essere le sue conseguenze. È questo che ha spinto nella storia tante persone a ricercare per scoprire qualcosa di cui avrebbero potuto beneficiare le generazioni future. Chi ha fatto nel passato un’importante scoperta medica non poteva sapere esattamente che oggi quella scoperta avrebbe salvato la vita di Mario Rossi. Eppure, anche non essendo pienamente consapevole di tutte le sue conseguenze e dei suoi effetti futuri, l’intuizione dei benefici positivi (della generatività) della sua attività è stata una delle molle fondamentali delle sue scelte di vita.
La generatività è e deve diventare pertanto l’obiettivo degli investimenti in una progressiva integrazione tra creazione di valore economico di cui beneficia l’investitore ed impatto sociale ed ambientale del proprio investimento. Quando questa congiunzione astrale avviene ha il risultato di produrre un effetto positivo su soddisfazione e ricchezza di senso di vita dei membri dell’organizzazione che investe. Non dimentichiamo infatti che la persona cercatrice di senso passa gran parte della propria esistenza nella dimensione del lavoro e che il fenomeno delle “grandi dimissioni” dimostra quanto i lavoratori di oggi (soprattutto i giovani) siano attenti ai fattori non monetari del lavoro (qualità delle relazioni sull’ambiente di lavoro, armonizzazione vita di lavoro/vita familiare, indipendenza e appunto generatività). In un futuro dove per motivi demografici l’uscita dal mercato del lavoro dei baby boomers e la crisi delle nascite ridurranno significativamente l’offerta di lavoro le imprese dovranno essere attrattive anche da questo punto di vista e dunque la prospettiva della generatività e dell’impatto negli investimenti può diventare una chiave di volta per attrarre i lavoratori migliori.
La rivoluzione dell’impatto e della generatività nell’investimento non è un’utopia da intellettuali ma qualcosa che si sta concretamente realizzando nell’economia dei nostri giorni anche sulla spinta di novità introdotte dai regolatori.
La regolamentazione europea ha reso obbligatoria per le aziende da 500 addetti in su la rendicontazione non finanziaria (ovvero un supplemento di bilancio nel quale l’azienda racconta le sue realizzazioni in materia di responsabilità sociale ed ambientale). Se la soglia dell’obbligatorietà sembra di fatto riguardare solo le grandi imprese in realtà questa rivoluzione investe anche le piccole perché la sostenibilità di una grande impresa coinvolge anche misure della sostenibilità di tutta la sua filiera inclusi i fornitori tutte le piccole e medie imprese che lavorano con grandi committenti sono costrette a rispettare queste regole.
A dimostrazione di questa tensione positiva verso la generatività negli ultimi anni sono significativamente aumentate le emissioni di attività finanziarie “ad impatto” come i green o social bonds. La loro differenza fondamentale rispetto agli strumenti tradizionali è che non offrono agli investitori solo prospettive di rendimento aggiustato per il rischio ma anche obiettivi ed opportunità d’impatto sociale ed ambientale. Il loro successo sui mercati è indice della disponibilità a pagare dei risparmiatori per le caratteristiche aggiuntive d’impatto e di generatività che queste emissioni (oltre a rendimenti adeguati positivi) propongono.
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In sintesi e concludendo la categoria dell’investimento è una dimensione fondamentale dell’esistenza di persone ed organizzazioni che ha bisogno di alcuni presupposti fondamentali, tra cui la disponibilità a rischiare e la fiducia nel futuro. Per questo il successo dell’investimento è indissolubilmente legato a quello della sostenibilità dell’ambiente sociale ed economico in cui viene realizzato. Una visione riduzionista di investimento secondo la quale il suo scopo o traguardo è la massimizzazione del profitto “non importa come” (ovvero che non tiene conto di potenziali impatti sociali ed ambientali negativi) ci ha portato nelle difficoltà in cui ci troviamo. Il vulnus è stato quello di credere che ci sarebbero state istituzioni “forti” in grado di allineare interesse privato e bene comune. Sta però emergendo, anche per la necessità di affrontare con successo le sfide emergenti del riscaldamento globale e della sostenibilità sociale ed ambientale, una nuova modalità di essere impresa dove la responsabilità sociale ed ambientale sono dimensioni fondamentali richieste da cittadini e regolatori. La visione che noi proponiamo va in questa direzione ma propone un orizzonte ancora più ampio. Se riusciamo a mettere assieme investimento, rendimenti privati, generatività e impatto sociale ed ambientale positivo abbiamo garantito, oltre alla sostenibilità e alla prosperità dell’impresa, la ricchezza di senso e soddisfazione di vita di chi ci svolge il proprio lavoro.
La storia degli ultimi decenni è piena di buone pratiche che dimostrano che questo è possibile assieme a tanti fallimenti e situazioni dove i due termini della questione sono inconciliabili. La sfida degli investimenti generativi del futuro è quella di identificare nuovi circoli virtuosi per allargare il sentiero delle buone pratiche e renderlo visibile a praticabile ai più. È in questo modo che è possibile rendere ragione della nostra speranza nel particolare campo dell’agire economico e sociale
Per approfondire
Professore Ordinario di Economia politica presso l’Università Tor Vergata, direttore del master MESCI, direttore del festival dell’Economia Civile, presidente del comitato Etico di Etica sgr.
Vicepresidente della Società Italiana di Economia Demografia e Statistica. Ha svolto diversi ruoli di consigliere e consulente del MEF, Ministero del Lavoro e Ministero dell’Ambiente.
Editorialista di Avvenire e del Sole 24 ore, membro del comitato scientifico del Corriere della Sera buone notizie.
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