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Il benessere delle persone e delle comunità è da sempre al centro dei valori guida dell’umanità, quale presupposto per la dignità, la libertà, la qualità della vita e la felicità. Ed al raggiungimento del benessere, individuale e collettivo, sono stati dedicati nel tempo molti sforzi e slanci di impegno, sia a livello di comportamenti che a livello di norme della convivenza. In epoca recente questi sforzi hanno trovato una formalizzazione nei sistemi di protezione sociale dei moderni stati-nazione, i cosiddetti sistemi di welfare, frutto di un processo di progressiva affermazione di un modello di società di tipo fordista, caratterizzato dalla prevalenza funzionale di una serie di soggettualità forti – lo stato, le imprese, i sindacati, gli enti pubblici -. Un modello nel quale bisogni ed esigenze trovano collocazione e risposta in specifici istituti pubblici e canali di copertura, basati su un insieme ampio di strutture e strumenti di intervento, per lo più di tipo monetario ed istituzionale, e gestiti a livello nazionale, regionale e locale.
In questo quadro di progressivo sviluppo e formalizzazione delle politiche per il benessere in coerenza con gli obiettivi di uno sviluppo sociale ed economico rispettoso della dignità, della giustizia sociale e della felicità individuale e collettiva, rientra a pieno titolo la costituzione di robusti sistemi di tutela sanitaria, tra i quali il Servizio Sanitario Nazionale, introdotto in Italia nel 1978 ( Legge n. 833, Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, 23 dicembre 1978), rappresenta uno degli esempi più ambiziosi e virtuosi, che prevede tra i principi di riferimento l’universalismo, l’equità a tutti i livelli (territoriale, generazionale, di genere) ed il finanziamento pubblico su base fiscale.
Nel periodo più recente l’area del benessere e del welfare è stata investita da una serie di sfide di tipo nuovo, derivanti in larga misura dai cambiamenti avvenuti nel tessuto sociale, nelle aspirazioni e nei valori individuali e collettivi, ma anche dai risultati raggiunti in termini di progresso scientifico e tecnologico. Per quanto riguarda il tessuto sociale, il progressivo invecchiamento della popolazione, il calo della natalità, l’aumento della mobilità sociale, l’indebolimento delle relazioni umane e sociali primarie, fino ad una sostanziale “molecolarizzazione” dei vissuti, hanno modificato la domanda di assistenza e protezione sociale, sempre più condizionata dalle patologie croniche ed invalidanti, dal venir meno del supporto familiare e degli aiuti informali per la cura e tutela dei soggetti fragili, dalla crisi della funzione educativa genitoriale, dagli effetti negativi dell’isolamento sociale e della solitudine e dalla diffusione del disagio psichico, in particolare a livello giovanile. Soprattutto a seguito della recente pandemia da Covid-19, si sono evidenziate pesanti lacune ed inadempienze del welfare nei campi della prevenzione del disagio, della lotta alla povertà ed alla emarginazione, della preparazione rispetto agli eventi catastrofici, delle difficoltà di accesso ai servizi ed alle prestazioni e delle macroscopiche e drammaticamente inique differenze sociali ed economiche a livello territoriale e sociale.
Per quanto riguarda le aspirazioni ed i valori, la cultura collettiva ha subito un processo di trasformazione nella direzione di una sempre maggiore personalizzazione, sia per quanto riguarda gli stili di vita e le forme di auto-tutela ed auto-medicazione, che per ciò che attiene la rivendicazione di un diritto formalmente riconosciuto ad un benessere da garantire ai più alti livelli. Una domanda che sfocia sempre più frequentemente nella richiesta di empowerment da parte della società civile e dei singoli, elemento per molti versi già presente nelle anime storiche del welfare italiano – sia quella della beneficenza cattolica che quella della mutualità operaia – ma poi diventato marginale ed obsoleto, a fronte del ruolo crescente dell’intervento pubblico.
Per quanto riguarda il progresso scientifico e tecnologico, lo sviluppo della scienza e della medicina moderna, molto accelerato nel periodo più recente e denso di prospettive sempre più avanzate di cura e assistenza, ha comportato l’ingresso prepotente delle tecnologie informatiche e degli altri supporti strumentali e farmacologici anche nel campo del sociale, e di conseguenza una sempre maggiore complessità e specializzazione, che ha provocato la crescita ulteriore delle aspettative in termini di personalizzazione degli interventi e di raggiungimento di obiettivi di benessere sempre più avanzati.
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I cambiamenti intervenuti hanno contribuito a rendere palese e percepibile la crisi di un sistema cresciuto su sé stesso senza tenere nella dovuta considerazione gli obiettivi inziali di universalismo e giustizia sociale, la necessità di fare fronte ai mutamenti del contesto e delle aspettative e soprattutto senza capire fino in fondo che le finalità alla base del sistema possono essere realizzate pienamente solo se il benessere viene inteso nella sua natura multidimensionale e in quanto bene comune. Un richiamo contenuto da molto tempo nelle dichiarazioni dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che già a partire dal 1948 e poi con la Dichiarazione di Alma Ata del 1978 (OMS, Dichiarazione di Alma Ata sull’assistenza sanitaria primaria, 1978) ha indicato l’obiettivo del “raggiungimento, da parte di tutte le popolazioni, del più alto livello possibile di salute”, come “stato di totale benessere fisico, mentale e sociale” e “come diritto fondamentale da promuovere e salvaguardare rispetto all’ordine economico internazionale, alla collaborazione tra nazioni, territori e comunità, nonché attraverso un’assistenza primaria volta ad agire anche sulle condizioni di contesto ambientali, economiche e sociali, sulla cultura e la alfabetizzazione sanitaria, e su tutti i settori in qualche modo collegati”.
La mancanza di un indirizzo chiaro nel senso detto è alla base del mancato raggiungimento degli obiettivi iniziali e delle tante lacune ed inadempienze di un sistema per un lungo periodo valutato positivamente come formidabile motore di crescita socioeconomica e di emancipazione sociale, e che mostra ora crepe e scricchiolii rispetto ad una serie ampia di problemi irrisolti: dal rapporto tra identità individuale e identità collettiva, a quello tra le generazioni, a quello tra territori diversi e luoghi di vita centrali e periferici, a quello tra meccanismi di partecipazione dal basso ed esigenze di carattere burocratico e amministrativo, fino alle mancate tutele e garanzie per le categorie sociali più deboli, solo parzialmente mitigate dalla delega di una larga fetta di prestazioni di cura e sostentamento alla famiglia, ai care-giver familiari ed alle altre forme di aiuto informale, indebolite come abbiamo detto, ma ancora fortemente investite di responsabilità.
Una vera e propria “eterogenesi dei fini” rispetto agli obiettivi originari di un welfare nato per garantire benessere e giustizia per tutti, e che si trova ora ad alimentare disagi, squilibri demografici e lavorativi, ansia sociale e perdita di fiducia, in una sorta di mix incongruente tra modello universalistico, modello categoriale-professionale – quello del sistema pensionistico e delle forme di mutualità integrativa -, e modello individuale e fiscale – quello della delega alle famiglie e delle forme assicurative – .
Non da ultimo l’assetto del sistema risulta scarsamente capace di garantire il rispetto del principio della sussidiarietà, sancito all’articolo 118 della Costituzione, che dispone che “Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associali, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”. Un principio che intende valorizzare anche il tradizionale attivismo e la vivacità storica della società italiana dal punto di vista dell’impegno nel volontariato e nell’associazionismo. E che non ha trovato sufficiente applicazione nemmeno a seguito del varo della Legge Quadro del 2000 (Legge n. 328, 8 novembre 2000) per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, che pure fa riferimento al pluralismo degli attori da valorizzare ed al ruolo dell’ente locale nella gestione delle politiche socio-sanitarie.
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Oggi è ampiamente condivisa la convinzione che sia necessaria una revisione del welfare nella direzione del riconoscimento di un benessere come bene comune, da fondare sulla solidarietà e sull’approccio generativo, sul coinvolgimento pieno e la collaborazione virtuosa della società tutta, ed in particolare sulla valorizzazione di quei mondi vitali che operano per la cura e l’integrazione delle funzioni, attraverso le numerose e variegate forme di privato sociale, volontariato, associazionismo e reti sociali. Contro l’impostazione vigente, centrata prevalentemente sul benessere come bene individuale, da promuovere privatamente e per gruppi e ceti sociali separati tra loro, e da delegare ad istituzioni gestite sulla base di criteri di efficientismo e di economicismo.
In questo quadro si colloca anche il dibattito sulle interrelazioni tra benessere umano e benessere delle altre forme di vita e tra diverse aree geografiche del pianeta, e dunque sulla necessità di operare in termini di One Health e di “Benessere in tutte le politiche”, come indicato dal Movimento per lo sviluppo sostenibile, a partire dai Limiti dello Sviluppo segnalati dal Club di Roma nel 1972 (Club di Roma, I limiti dello sviluppo 1972)e, più recentemente, dall’Enciclica Laudato sì di Papa Francesco e dall’Agenda dell’Onu per lo Sviluppo Sostenibile al 2030, ambedue del 2015.
Su questa base nel 2022 sono stati modificati gli articoli 9 e 41 della Costituzione Italiana, introducendo il principio della “tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni” (all’articolo 9) e quello della salute e dell’ambiente tra i vincoli dell’iniziativa economica privata (all’articolo 41). Ma anche qui la messa in pratica dei nuovi principi costituzionali non potrà avvenire senza il coinvolgimento pieno e fattivo delle forme di partecipazione e impegno dal basso che operano per uno sviluppo armonico e rispettoso degli equilibri tra sfera naturale, sfera sociale e sfera istituzionale, per la massima valorizzazione del capitale umano, sociale e materiale, per la lotta contro ogni spreco ed ogni forma di esclusione ed emarginazione, per la considerazione di tutti i determinanti sociali, ambientali ed economici e per più avanzati e virtuosi equilibri in termini eco sistemici.
Da un punto di vista delle concrete applicazioni e realizzazioni, è possibile fare riferimento a due filoni principali, quello della cooperazione sociale di comunità e quello degli interventi di solidarietà sociale e prossimità.
Per quanto riguarda la cooperazione sociale di comunità, si tratta di un filone importante che affonda le radici nella storia dei Patti territoriali dagli anni 90 in poi, per arrivare ai Patti educativi ed alle altre esperienze di valorizzazione della dimensione comunitaria locale di oggi. Qui preme sottolineare come all’interno dei patti sia presente anche una specifica attenzione alla dimensione sociale, accanto a quella economica.
Per quanto riguarda la solidarietà sociale è noto – come dicevamo – il ruolo della società civile e del privato sociale a sostegno delle fragilità, dei poveri, dei malati, degli anziani, per le tante aree di disagio lasciate scoperte o trattate dal pubblico in maniera non adeguata e per lo sviluppo di forme di autotutela e di mutuo aiuto, secondo un approccio partecipativo. Una dimensione ed un ruolo che ritroviamo nell’associazionismo di matrice sociale, nelle organizzazioni di territorio, di quartiere e di area di bisogno, e nelle forme di partecipazione, coprogettazione ed empowerment, che ora hanno una chance in più per emergere grazie agli investimenti previsti nelle Missioni 5 e 6 del PNRR.
Eppure si tratta di uno snodo cruciale: per lasciare vivere ciò che si è messo al mondo – e così godere pienamente dell’inizio di cui siamo stati promotori – occorre perderlo, aprendo così la possibilità di ritrovarlo. Lo sappiamo dal racconto di chi ha oltrepassato questa frontiera e ha imparato a non aver paura della perdita, che è comunque inevitabile e necessaria se non vogliamo soffocare ciò che abbiamo messo al mondo. Attraversare questa fatica, questo dolore, è un passo capace di restituire una soddisfazione inaspettata e intensa, al di là del possesso.
La co-progettazione, in modo particolare, si configura come una scelta decisiva, che consente di andare oltre le logiche tradizionali di tipo burocratico e verticale e di muovere verso una architettura distribuita, basata sul coinvolgimento e la cooperazione attiva dei fruitori, e non più portato del solo sapere esperto e/o delle dinamiche autoreferenziali dell’offerta, ma frutto del coinvolgimento attivo dei cittadini già in fase di ideazione anche grazie alle potenzialità offerte dalle nuove tecnologie.
Per approfondire
Sociologa del welfare e della salute, già Vice Direttore Generale della Fondazione Censis, ora Associate Researcher presso CNR – CID Ethics, Senior Expert ASviS per le relazioni istituzionali e l’Obiettivo 3 dell’Agenda ONU per lo sviluppo sostenibile, docente di comunicazione scientifica e biomedica alla Sapienza, membro della Consulta Scientifica del Cortile dei Gentili.
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