La comunità educante è lo strumento più efficace per contrastare la povertà educativa minorile, che è un fenomeno multidimensionale frutto del contesto economico, sociale e culturale in cui bambine e bambini, ragazze e ragazzi nascono e crescono insieme alle loro famiglie. A causa della povertà educativa, ancora troppi giovani non hanno accesso alle opportunità che potrebbero garantire loro una crescita sana: istruzione, informazione, internet, percorsi formativi, servizi per l’infanzia, biblioteche, spazi per lo sport, luoghi di aggregazione, educazione musicale e artistica, cura della salute. La povertà educativa, di fatto, incide sul futuro del Paese e riguarda dunque anche la dimensione più generale dello sviluppo.
Quello di rimuovere gli ostacoli di natura economica, sociale e culturale che impediscono la piena fruizione dei processi educativi da parte di bambini e ragazzi è un lavoro tanto più importante oggi, alla luce delle molteplici crisi che mettono a rischio il futuro dei giovani, tra conseguenze della pandemia, crisi economica, guerre e cambiamenti climatici.
In un quadro così complesso, la scuola, primo presidio della Repubblica, non può farcela da sola: la responsabilità della crescita dei minorenni deve essere di tutta la comunità. Questa consapevolezza è oggi finalmente diffusissima tra i cittadini: ne è consapevole l’85% degli italiani. Un dato che è cresciuto negli anni grazie a un lavoro costante di sensibilizzazione e motivazione collettiva: siamo passati dal 46% del 2019 all’85% odierno, con un incremento di quasi 40 punti in 4 anni [Dati dalla quarta edizione dell’indagine “Gli italiani e la povertà educativa minorile”, realizzata dall’Istituto Demopolis e promossa da Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, sul tema “Quanto futuro perdiamo? Il ruolo della scuola e della comunità educante nel Paese” (novembre 2022)].
La comunità educante, quindi, è un’alleanza educativa tra tutti gli attori di un territorio coinvolti nella crescita e nell’educazione dei minorenni, in primis scuola e famiglia, ma anche organizzazioni del Terzo settore, privato sociale, istituzioni, associazioni sportive, società civile, parrocchie, università, i ragazzi stessi. Comunità educante è l’intera collettività che ruota intorno ai più giovani e alla loro crescita. Una comunità che cresce “con” loro, e non solo per loro; che educa gli adulti di domani, ma che si fa anche educare e cambiare da loro
Promuovere la nascita e il rafforzamento delle comunità educanti per contrastare la povertà educativa minorile, anche alla luce dei recenti fatti di cronaca nei quartieri difficili, dovrebbe essere la prima questione nazionale.
Le ragioni di questa priorità sono evidenti. L’Italia presenta forti differenze territoriali nell’accesso all’istruzione, già dai primi anni di vita. Vi sono situazioni particolarmente penalizzate, non solo al Sud ma anche al Nord, che riguardano per esempio piccoli centri nel confronto con grandi città, molte aree interne rispetto alle aree metropolitane, le periferie urbane nel confronto con le aree più protette delle città. Come si evince dai report dell’Osservatorio #conibambini, a cura di Openpolis e Con i Bambini, l’offerta per la prima infanzia espressa in posti nido e in servizi per l’età tra 0 e 2 anni vede oggi, per ogni 100 residenti, la media italiana che esprime 26,9 posti ma solo le regioni meridionali sono sotto la media con la Campania a 10,4, la Calabria a 10,9, la Sicilia a 12,4, la Puglia a 18,9, la Basilicata a 20,5, il Molise a 22,7 e l’Abruzzo a 23,9. Vi sono forti divari anche sul tempo scuola sia tra grandi comuni (60% delle classi a tempo pieno) e piccoli comuni (15% del totale delle classi a tempo pieno), sia tra regioni, non solo tra Nord e Sud. Infatti Molise, Campania e Puglia si trovano sotto al 20% di bambini e bambine della scuola primaria con il tempo pieno, mentre la media nazionale è quasi il 40%, con il Veneto al 32,5%, l’Emilia Romagna al 48,6%, la Lombardia al 53,4 e il Piemonte al 51,7%. Anche per quanto riguarda la dispersione scolastica, nonostante il lento trend di miglioramento, i numeri sono ancora enormi: in media, il 12,7% di giovani italiani sono usciti dal sistema educativo prima del diploma o di una qualifica, ma nel Mezzogiorno la quota media raggiunge il 16,6% e in aree come Napoli, Palermo, Catania, Bari il dato supera il 20%.
Non può rimanere uno scarto così ampio nei tassi di fallimento formativo senza curare una via d’uscita concordata a livello nazionale. Le comunità educanti sono l’unica risposta al problema, come dimostra il grande cantiere educativo messo in piedi da Con i Bambini nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. In sette anni, sono stati approvati oltre 600 progetti in tutta Italia, con un contribuito di oltre 380 milioni di euro, coinvolgendo oltre mezzo milione di bambini e ragazzi insieme alle loro famiglie. Attraverso i progetti sono state messe in rete oltre 8.500 organizzazioni, tra Terzo settore, scuole, enti pubblici e privati, rafforzando le comunità educanti dei territori.
Essere una comunità vuol dire sentirsi parte di qualcosa, lavorare insieme per un obiettivo comune. Nel caso della comunità educante, l’obiettivo è rimuovere gli ostacoli di natura economica, sociale e culturale che impediscono la piena fruizione dei processi educativi da parte dei minori. Come scrive Nicola Paparella, “la comunità educante mobilita risorse, energie e sforzi da destinare al superamento del disagio e dello svantaggio, e per garantire le pari opportunità, soprattutto sul versante della formazione, dell’educazione e della scelta del progetto di vita”.
La gente dei quartieri difficili deve sentire che c’è un “esercito civile” unito che intende assumere un impegno per una battaglia lunga e difficile, ma che è l’unica che può produrre cambiamenti. Questo esercito civile è composto dagli insegnanti e dal personale scolastico, dal privato sociale, dalle famiglie, dalle parrocchie, dalle associazioni sportive – perché lo sport è molto importante nella vita dei più giovani – e dai ragazzi stessi. Perché se i giovani sono membri attivi della comunità, è l’intera società a trarne beneficio.
Il senso di appartenenza a una comunità comporta la consapevolezza che tutti i membri possono influenzare la comunità stessa e partecipare al suo sviluppo con azioni strettamente connesse a quelle degli altri, ciascuno nel proprio ambito, costruendo insieme buone pratiche di intervento. Al centro della comunità c’è, dunque, il concetto di partecipazione. “La comunità educa – scrive Ezio Del Gottardo – perché è spazio di partecipazione, educa perché abilita all’esercizio di alcuni valori, educa perché vigila sul compito educativo, ed educa perché in molti casi assume direttamente responsabilità e iniziative educative. A sua volta la comunità si nutre di interrelazioni, di scambi, di reciprocità, che si compiono nella dimensione intersoggettivo-comunitaria propriamente definita sociale ed evidentemente educativa”.
Uno strumento importante per rafforzare le comunità educanti sono i patti educativi di comunità, riconosciuti dal Ministero dell’Istruzione, che permettono di creare una rete di strutture e spazi in cui svolgere attività didattiche “complementari a quelle tradizionali, comunque volte a finalità educative”. Con lo scopo di offrire una didattica ampia, che non sia limitata solo alle attività possibili tra le mura scolastiche e che sia accessibile a tutti, a prescindere dalla condizione sociale ed economica della famiglia di origine. I patti educativi rendono le scuole il perno di un progetto educativo che si realizza nella collaborazione con gli attori del territorio, rendendo tutti i soggetti consapevoli del proprio ruolo educativo e cementando quel rapporto tra gli studenti e la comunità che è una premessa della cittadinanza attiva.
Per approfondire
ADERISCI
Marco Rossi-Doria è un insegnante e politico italiano.
Esperto di politiche educative e sociali, è stato sottosegretario all'Istruzione del Governo Monti dal 2011 al 28 aprile 2013, riconfermato allo stesso incarico dal 2 maggio 2013 al 22 febbraio 2014 nel Governo Letta.
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